CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO - CONFISCA - Cass. pen. Sez. II, 20-10-2017, n. 51088

CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO - CONFISCA - Cass. pen. Sez. II, 20-10-2017, n. 51088

l giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell'art. 240, comma 2, n. 1, c.p., la confisca del prezzo e, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e, infine, alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio. La confisca delle somme di cui il soggetto abbia la disponibilità deve essere qualificata diretta qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro e, in tal caso, in considerazione della natura del bene, destinato di per sé a confondersi con le altre disponibilità economiche del reo, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto dell'ablazione e il reato.Cass. pen. Sez. II, 20-10-2017, n. 51088

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIANDANESE Franco - Presidente -

Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere -

Dott. BELTRAMI Sergio - Consigliere -

Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere -

Dott. CIANFROCCA Pierluigi - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, nel procedimento a carico di:

M.G., nato a (OMISSIS), ivi residente in via (OMISSIS), avverso la sentenza del 27/9/2016 della Corte di Appello di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE ANGELILLIS Ciro, che ha concluso per l'annullamento della sentenza con rinvio limitatamente alla revoca della confisca.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Catanzaro, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell'imputato per intervenuta prescrizione dei reati a lui ascritti, ha in tal senso riformato la sentenza del GUP del Tribunale di Crotone che, previa riqualificazione dei reati rubricati ai capi a) e b) dell'imputazione nell'unica ipotesi di cui all'art. 316 ter c.p., aveva dichiarato M.G. colpevole dei reati così a lui ascritti e, ritenuta la continuazione tra di essi ed applicata la diminuente per il rito abbreviato, lo aveva condannato alla pena complessiva di anni 2 di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; aveva altresì ordinato la confisca dei beni mobili ed immobili dell'imputato sino a concorrenza dell'importo di Euro 42.975,00 per il delitto di cui all'art. 316ter cod. pen. e di Euro 75.489,33 per il reato di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12quinques, a lui contestato al capo d).

2. ricorre per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, lamentando la violazione di legge penale con riferimento al disposto di cui all'art. 240 c.p., comma 2, e all'art. 316ter c.p. atteso che la sentenza, pur avendo in motivazione dato atto della necessità, conseguente alla declaratoria di intervenuta prescrizione dei reati ascritti al M., di provvedere in tal senso con riguardo alla confisca per equivalente, aveva tuttavia finito con il disporre la revoca della confisca senza alcuna distinzione tra confisca per equivalente e confisca del denaro, integrante quest'ultima una ipotesi di confisca diretta tale da resistere alla estinzione del reato per decorrenza del termine di prescrizione.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

M.G. era stato tratto a giudizio di fronte al Tribunale di Crotone per rispondere del reato di cui all'art. 640bis c.p., aggravato ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 7 in quanto, destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS, ponendo in essere artifizi e raggiri consistiti nel silenzio serbato su tale circostanza, aveva indotto AGEA ad erogargli contributi statali e comunitari per complessivi Euro 42.975,00; del reato di cui all'art. 483 c.p., per aver sottoscritto, con firma autenticata da pubblico ufficiale, la relativa domanda di erogazione del contributo autocertificando l'assenza di cause ostative di natura soggettiva; del reato di cui alla L. n. 646 del 1982, artt. 30 e 31 in quanto, destinatario della misura di sicurezza della sorveglianza speciale di PS, ed avendo percepito erogazioni pubbliche per Euro 20.524,38 nel 2006 ed Euro 15.528,47 nel 2007, aveva omesso di dare comunicazione, nei termini prescritti, delle intervenute variazioni patrimoniali al competente Nucleo P.T. della GdF di Crotone; del reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12quinques in quanto, al fine di eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale e di decadenza dal diritto alla percezione di contributi pubblici previste dalla L. n. 575 del 1965, aveva trasferito la titolarità della propria impresa individuale alla consorte O.V. in tal modo conseguendo l'indebita percezione di contributi pubblici per complessivi Euro 75.489,33.

Il Tribunale aveva ricondotto i reati di cui ai capi a) e b) nella ipotesi di cui all'art. 316ter c.p. e, pertanto, ritenuta la responsabilità del M. sia per tali condotte che per i reati a lui ascritti ai capi c) e d), operato l'aumento per la continuazione ed applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, lo aveva condannato alla pena complessiva di anni 2 di reclusione ed Euro 10.000 di multa ordinando altresì la confisca dei beni mobili ed immobili sino a concorrenza degli importi di Euro 42.975,00 quanto al delitto di cui all'art. 316ter c.p. e di ulteriori Euro 75.489,33 quanto al delitto a lui ascritto al capo d).

Decidendo sul gravame proposto dall'imputato, la Corte di Appello di Catanzaro prendeva atto che, nelle more, i reati si erano prescritti dichiarando pertanto non doversi procedere per la loro intervenuta estinzione; aggiungeva che "alla declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione consegue la revoca della confisca per equivalente disposta con al sentenza impugnata (...)"(pag. 4 della sentenza della Corte di Appello).

In dispositivo, quindi, revocava la confisca di quanto in sequestro delegando per l'esecuzione la PG. Correttamente, quindi, il Procuratore Generale segnala in questa sede come il dispositivo, nel provvedere nel senso della revoca della confisca senza alcuna specificazione in ordine alla sua natura, diretta o per equivalente, si ponga in apparente contrasto con la motivazione e, in ogni caso, risulti non in linea con quanto autorevolmente ribadito da questa Corte in merito alla natura della confisca che abbia ad oggetto somme di denaro e, per altro verso, al rapporto tra la confisca diretta e la intervenuta estinzione del reato per prescrizione.

Con sentenza n. 31.617 del 26.6.2015, Lucci, le SS.UU. della Corte hanno chiarito che qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, destinato di per sè a confondersi con le altre disponibilità economiche del reo, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (cfr., anche, Cass. Pen., 5, 29.3.2017 n. 23.393, PM in proc. Garau).

Per altro verso, ed in quella medesima occasione, si è sottolineato che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell'art. 240 c.p., comma 2, n. 1, la confisca del prezzo e, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e, infine, alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio.

Le Sezioni Unite sono pervenute a tali conclusioni all'esito di un ampia ricognizione della problematica sia nel diritto interno che nelle implicazioni derivanti dagli interventi della CEDU, con particolare riferimento alla sentenza "Varvara" e, infine, agli interventi della Corte Costituzionale in "replica" rispetto agli arresti del giudice sovranazionale.

Ed in effetti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 49 del 26.3.2015, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata sulla confisca dei beni oggetto di lottizzazione abusiva, ha preso in considerazione quanto affermato nelle sentenze della CEDU fornendo una serie di indicazioni sui rapporti tra diritto interno e Convenzione EDU affermando, tra l'altro, con il richiamo al contenuto di due precedenti decisioni (le sentenze n.239/2009 e 85/2008), che "di per sè, non è escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato (misura, quest'ultima, che il giudice penale è tenuto a disporre con la sentenza definitiva che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2)", rilevando, altresì, che "allo stato, e salvo ulteriori sviluppi della giurisprudenza Europea (in seguito al deferimento alla Grande Camera di controversie attinenti a confische urbanistiche nazionali, nei ricorsi n. 19029/11, n. 34163/07 e n. 1828/06), deve perciò ritenersi erroneo il convincimento, formulato dai rimettenti come punto di partenza dei dubbi di costituzionalità, che la sentenza Varvara sia univocamente interpretabile nel senso che la confisca urbanistica possa essere disposta solo unitamente ad una sentenza di condanna da parte del giudice per il reato di lottizzazione abusiva".

Questi rilievi sono stati successivamente ribaditi in altre occasioni (cfr., Corte costituzionale ord. 187 del 23/07/2015) laddove la Corte ha osservato "... che la sentenza della Corte EDU nel caso Varvara può essere letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa; che i canoni dell'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme avrebbero dovuto orientare il giudice a quo verso tale soluzione; che, infatti, esigere la condanna penale per l'applicazione di una sanzione di carattere amministrativo (quale è, secondo la giurisprudenza costante, la confisca di una lottizzazione abusiva), per quanto assistita dalle garanzie della "pena" ai sensi dell'art. 7 della CEDU, determina l'integrale assorbimento della misura nell'ambito del diritto penale e rappresenta una soluzione di dubbia compatibilità con il "principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, costituendo l'ultima ratio, deve intervenire soltanto allorchè, da parte degli altri rami dell'ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire" (sentenza n. 487 del 1989; in seguito, sentenza n. 49 del 2015); che ai fini dell'osservanza della CEDU rileva non la forma della pronuncia con cui è applicata una misura sanzionatoria ma la pienezza dell'accertamento di responsabilità, tale da vincere la presunzione di non colpevolezza; che tale accertamento è compatibile con una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato conseguente alla prescrizione (sentenze n. 49 del 2015, n. 239 del 2009 e n. 85 del 2008)".

Su questa direttiva si è ormai consolidata la giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. Pen., 3, 24.5.2017 n. 32.363, Mantione; Cass. Pen., 3, 10.5.2017 n. 33.051, PG in proc. Puglisi).

Per altro verso, le SS.UU. hanno preso in esame la natura della confisca "diretta" alla luce, anche in tal caso, della evoluzione della normativa in materia e della stessa giurisprudenza sovranazionale pervenendo alla conclusione secondo cui "la confisca del prezzo del reato non presenta connotazioni di tipo punitivo, dal momento che il patrimonio dell'imputato non viene intaccato in misura eccedente il pretium sceleris, direttamente desunto dal fatto illecito, e rispetto al quale l'interessato non avrebbe neppure titolo civilistico alla ripetizione, essendo frutto di un negozio contrario a norme imperative. Al provvedimento di ablazione fa dunque difetto una finalità tipicamente repressiva, dal momento che l'acquisizione all'erario finisce per riguardare una res che l'ordinamento ritiene - secondo un apprezzamento legalmente tipizzato - non possa essere trattenuta dal suo avente causa, in quanto, per un verso, rappresentando la retribuzione per l'illecito, non è mai legalmente entrata a far parte del patrimonio del reo, mentre, sotto altro e corrispondente profilo, proprio per la specifica illiceità della causa negoziale da cui essa origina, assume i connotati della pericolosità intrinseca, non diversa dalle cose di cui è in ogni caso imposta la confisca, a norma dell'art. 240 c.p., comma 2, n. 2".

Nel caso di specie, l'accertamento della penale responsabilità del M., operato dal Tribunale di Crotone, non ha subito modifiche in secondo grado dove la Corte di Appello di Catanzaro, pur in presenza di specifici motivi di appello articolati nel merito dall'imputato, ed all'esito del dibattimento (non essendo in quella sede possibile una pronuncia predibattimentale, come chiarito da ultimo dalle SS.UU. con la sentenza 27.5.2017 n. 28954, Iannelli), ha dovuto prendere atto della intervenuta prescrizione dei reati a lui ascritti, con salvezza, tuttavia, dell'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e, infine, alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto.

Dando allora continuità ai principi sopra richiamati, il ricorso del PG va accolto con il conseguente annullamento della sentenza della Corte di Appello di Catanzaro limitatamente alla parte in cui dispone la revoca della confisca del denaro in sequestro.

P.Q.M.

annulla senza rinvio il provvedimento impugnato nella parte in cui dispone la revoca della confisca del denaro in sequestro.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2017


Avv. Francesco Botta

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